12 agosto 2010

mari



"Si ricordò di alcune riflessioni che aveva annotato di recente sul suo quadernetto. A proposito della povertà di vocabolario riguardante il mare. Solo i greci avevano tante parole per definirlo. Hals, il sale, il mare in quanto materia. Pelagos, la distesa d'acqua, il mare come visione, spettacolo. Pontos, il mare spazio e via di comunicazione. Thalassa, il mare in quanto evento. Kolpos, lo spazio marittimo che abbraccia la riva, il golfo o la baia....."
Jean-Claude Izzo - Marinai perduti

22 luglio 2010

E sei partita con quella nave, ma poi ha scoperto che viaggiavi in treno...

Le parodie non son certo una novità, per cui non sprecherò troppe parole per introdurre questo post. Una cornice di cazzeggio estivo e qualche battuta catalizzatrice ed ecco fatto....
Un falso De Gregori d'annata, con una metrica che tra l'altro lo rende cantabile su molte delle sue musiche, compresa quella utilizzata da Riondino per la sua stessa parodia.

Marta che si guarda allo specchio

Era un giorno di pomeriggio
mentre un volto spuntava dal pozzo
in un afflato di cielo grigio
il capitano era senza mozzo

Ma in un momento cambiò ogni cosa
volò un pallone, si voltò un vecchio
e la risata fu fragorosa
era alice attraverso lo specchio

il mendicante, cappello in terra
raccolse al volo i suoi quattro stracci
prese un aereo per l'inghilterra
lasciando al suolo i suoi polpacci

e la ragazza li prese al balzo
mentre l'aereo volava via
così del vecchio mendicante scalzo
non seppe nulla più, e così sia.

Mentre l'orchesta di terza classe
suonava musiche americane
un cielo teso di nuvole basse
contrappuntava sere messicane

e la ragazza ripensò al vecchio
immortalato in quei suoi quattro stracci
vide la luna specchiarsi nel secchio
e strinse forte i suoi due polpacci

e sotto un cielo sudamericano
le sceser lacrime di sale
si ritrovò con un cappello in mano
e storie nate e finite male

ma quando poi giunse all'equatore
sopra quel cuore di fuoco e metallo
sentiva urlare il fischio del vapore
sembrava quasi che cantasse il gallo

all'orizzonte non vedeva niente
dietro alla nave soltanto la scia
pensò "è così che allora ci si sente,
forse è il momento di tornare mia".

e la ragazza voltò le spalle
gettò la foto, disse addio al vecchio
e in un istante come le farfalle
riscomparì dentro allo specchio.

12 luglio 2010

Fanfole

Giorni fa, grazie a un'amica, ho avuto occasione di leggere un libro che non conoscevo. Si tratta di "Gnosi delle fanfole" - un libro di Fosco Maraini degli anni 60 - in cui sono raccolte le sue poesie metasemantiche. Ecco, va detto che allo stesso tempo, fino appunto a pochi giorni fa ignoravo anche l'esistenza di una cosa chiamata poesia metasemantica, che ho poi scoperto essere una via di mezzo tra il grammelot e la supercazzola.
Però, a partire da questa lettura, e in realtà abbastanza per caso e per gioco, mi son provato a metasemantizzare una canzone, Sally. Perché proprio quella? Potrei mentire adducendo motivazioni nobili e le più svariate, ma in realtà semplicemente perché l'avevo in testa in quel momento.
Ciò detto, ecco il risultato:

mia madre mi disse vetasti ludiare

rommunita con il losco

mia madre mi disse vetasti ludiare

rommunita con il losco


ma il losco buiava e il lonfo siddiava

spunse rossella saltintinneggiante

ma il losco biuava e il pratosside erbava

volventelesomi dite a mia mà


spumoso e undicoso mi trovai zatteroleso

itticorussicante mi costò cento denari

spumoso e undicoso mi ritrovai zatteroleso

itticomeroso mi costò cento denari


cammellai l'itticoso lampai una nascosta

volventelesomi dite a rossella

cavallai l'itticoso momentai la disparsa

volventelesomi dite a mia mà


metropolidappressata talassoPilar era

corsopita siringicausa da papaveriformi stille

casamobiledappressata era pomiPilar

rovotinta masticante lamaffonda pettoriente


roburdesto arboriforme, lamifero fuggiscappante

volventelesomi dite all'ittione

mirrorante pozziforme, lamifero autonettante

volventelesomi dite a mia mà


subbriggio seassidente, selsmellante murikingo

ruoccupanti barbiformi pneumogomme bruciardenti

subbriggio sesdraiante, seadorante murikingo

ruoccupanti barbiformi mìsteri van cercà


labiverbo loquente, bracciava il polsetto

volvetelesomi dite al robore

labiverbo smaccante, alcovavami il detto

volventelesomi dite a mia mà.


mia madre mi disse vetasti ludiare

rommunita con il losco

ma il losco buiava e il lonfo siddiava

spunse rossella saltintinneggiante.

24 gennaio 2010

Di uomini e caprioli


"Per un tempo del secolo scorso, la gioventù si dette una legge diversa da quella stabilita. Smise di imparare dagli adulti, abolì la pazienza. In montagna, saliva cime nuove, in pianura si dava nomi di battaglia. Voleva essere primizia di tempi opposti, dichiarava falsa ogni moneta. Non aveva diritto all'amore, pochi di loro ebbero figli durante gli anni rivoluzionari. Mai più si è visto un altro accanimento a rovesciare il piatto, in una gioventù. Un piatto sottosopra contiene poco però ha la base più larga, sta piantato meglio"
Erri de Luca

22 settembre 2009

Finché dura fa verzura

Sarà il fatto che dopo qualche giro per l'Europa l'ambientazione è tornata ad essere quella di New York e del Village, sarà che la sceneggiatura in realtà era stata scritta diversi anni or sono, siano solo (o in parte) questi i motivi o ce ne siano degli altri, fatto sta che era da un po' di film a questa parte che non ridevo così tanto ad un film di Woody Allen. Onestamente, Annie Hall e Manhattan, tanto per citarne un paio, sono ancora lontani seppure si ritrovino i temi più cari al regista e stilemi familiari sia a livello visivo che dialogico. E comunque il film scorre piacevole e non lesina battute di alto livello (da citare una definizione della meccanica quantistica, che alla prima occasione riciclerò con i miei studenti....sperando che non abbiano visto il film.... )

05 settembre 2009

Sangue e fumo di candela

Ci sono momenti in cui c'è un disco che suona più di altri nei vari mezzi di riproduzione che ormai la tecnologia ci mette a disposizione e ci sono artisti con i quali questa esperienza capita più e più volte. Per quanto mi riguarda al momento questo ruolo è ricoperto dall'ultimo lavoro di Tom Russell. Chi mi conosce, ma credo anche chi occasionalmente legge questo blog, sa quanto io sia legato alla musica di questo cantautore americano, non foss'altro perché proprio in questo luogo mi è capitato di menzionarlo più di una volta e credo che questo disco sia sicuramente da annoverare tra le sue opere migliori. 12 tracce una più bella dell'altra con alcune che sicuramente spiccano (e dopo dirò quali sono, secondo me), accompagnate, anzi anticipate - visto che i testi scritti hanno preceduto l'uscita del disco - da altrettante note che lo stesso Tom ha buttato giù per il suo blog. Proprio per questo non parlerò di tutte, ma mi soffermerò solo su un paio...

...comes an ill-intentioned wind that knows your name....
Il deserto del Mojave è il luogo più caldo e arido d'America e la sua presenza, soprattutto nei mesi a ridosso dell'estate si fa sentire per tutta la California del sud. Vecchie pareti rocciose che si sgretolano e fanno polvere e nelle notti desertiche montano da quelle che vengono chiamate Gila monster hills fino a diventare un vento che è in grado di raggiungere le 90/100 miglia all'ora, i venti di Santa Ana. Ed è una presenza che avverti arrivare e con la quale si deve fare i conti, perché "there'll be no saints go marchin' in, no cowboy stars, no clergy men, where we run when the wind howls at your door, when the Santa Ana wind begins to roar"... 6/8, gli strumenti dei Calexico e la voce di Gretchen Peters per disegnare le atmosfere della San Bernardino Valley

...3 weeks out of prison he drives the cold Missouri night.....
capita a volte che le canzoni abbiano la forza di costruire immagini e di delineare storie con il ritmo di un cortometraggio, e capita spesso che le più efficaci in questo senso siano delle border ballads (e non credo sia un caso). Una delle più riuscite, in tale ambito, almeno per quanto mi riguarda è the long slow decline of carmelita di bianca de leon. In questo caso, invece, la canzone di cui voglio parlare non è una border ballad, ma si ispira ad una delle figure di riferimento nella storia delle lotte operaie negli stati uniti, Mary Harris Jones, da tutti conosciuta come Mother Jones. Non credo di sminuire il lavoro di tom dicendo che questa canzone è fose uno dei cortometraggi più riusciti che mi sia stato dato di vedere (o sentire, ma la sinestesia tutto sommato ci sta tutta). Per questo ho provato a buttare giù il testo, che riporto di seguito

THE MOST DANGEROUS WOMAN IN AMERICA (Tom Russell)

Three weeks out of prison
He drives the cold Missouri night
there's strip malls and abandoned mines
Out on the left and the right
He drives into Mt. Olive and
the Becker Funeral Home
Where his daddy's lyin' with a cold hard stare,
Black lung and broken bones

The most dangerous woman in America
is buried on the edge of town
and looks upon other miners going down.

It's darker than a dungeon down
in those abandoned mines
he's drunk in the House of Knowledge
playin' 16 tons a thousand times
It's colder than a witch's tit
when the wind blows through these streets
old miner men at the legion bar
they're starin' at their feet

The most dangerous woman in America
is buried on the edge of town
and looks upon other miners going down.

Well the wind blows through the empty rooms
of a cooperation farm
there's a little blue man on the kitchen floor
shooting sparks into his arms
there's a three car funeral rolling by
out on the county line
bye bye daddy you're heaven-bound
but right now so mine.

The most dangerous woman in America
is buried on the edge of town
next to the grave where they lay his daddy down.

That night in the House of Knowledge
he buys him a .38
and drives out to the discount liquor store
on the interstate.
The most dangerous woman in America
has a tear frozen in her eyes
for the sons and daughters of miner men
who lost their way tonight.

Well bullets fly and a one man dies
and one drives off alone
to the cemetery midnight and the
grave of mother jones
he whispers low his daddy's name and
"mother i come to pray (and pay)
for all you've done for the miner men
back in the bygone days".

The most dangerous woman in America
smiles deep in the frozen ground
and there's sirens coming through a dead-end mining town.

The most dangerous woman in America
is buried on the edge of town
and looks on how other man is going down.

04 settembre 2009

All'ombra del grande timoniere pt.2

6. Another brick in the wall
Che la giornata sarebbe stata impegnativa si era intuito dall'ora concordata per la sveglia, decisamente antimeridiana, e dal suggerimento di incamerare il maggior numero di calorie possibile, perché tanto si avrebbe avuto modo di consumarle. Così, mentre ancora la città si godeva il torpore domenicale, noi ci preparavamo ad affrontare due ore di macchina (e chi ha letto il post precedente sa a che cosa mi riferisco...) per raggiungere una delle attrazioni principali della terra che ci ospitava, ovvero la grande muraglia. Guidati dai nostri ospiti indigeni e dalla nostra voglia di rifuggire i luoghi più turistici, e aiutati dal fatto che su più di novecento chilometri di tragitto fosse possibile trovare ancora delle parti poco visitate, ci siamo lasciati affascinare e affaticare da ore di trekking su quella che al tempo doveva essere la via di comunicazione più rapida dell'impero dei Ming. E la difficoltà di affrontare scalini sempre meno livellati dall'azione del tempo e dall'abbandono è stata più che controbilanciata dalla possibilità di vedere paesaggi spettacolari e dal confronto con l'ultima parte di tragitto già ricostruita, in cui i colori dei mattoni rasentavano una via di mezzo tra l'inverosimile ed il pacchiano. E forse non è un caso che, proprio in quel luogo, ci sia capitato di vedere una coppia di freschi sposini giusta appositamente per il rito delle foto....


7. Vent'anni dopo

E queste rose volano,
non sanno nulla
della rivolta in cui si sono aperte,
del sangue invaso di bandiere
che oggi ancora si apriranno.

La prima volta l'ho vista di sfuggita, illuminata dalle mille luci notturne, passarmi di lato attraverso il finestrino della macchina che mi riportava in albergo. Giusto uno sguardo, ma a volte la memoria ha bisogno di molto meno....
Già perché al tempo avevo abbastanza anni da ricordare quella piazza invasa dai carri armati in una torrida giornata di giugno e l'immagine dell'uomo in camicia bianca che avrebbe fatto il giro del mondo, su quella stessa strada sulla quale anche io avrei camminato il giorno successivo. La matematica garantisce che è la piazza urbana più grande del mondo e anche l'occhio se ne accorge, quando non riesce a coglierne i limiti, aiutato in questo anche dal mausoleo di marmo che la divide in due, eppure per un attimo la memoria, che di razionale ha poco, lascia prendere il sopravvento ad una sensazione di claustrofobia più sentita che vissuta.....

solo un milione amore
di teste e cuori,
in un mattino ancora oppressi
ancora e più liberi.
...

01 settembre 2009

Lu secondo è cchiù bello ancora...

Che la ragazza avesse talento si era capito dal suo debutto di un paio d'anni fa, a base di lacrime negli specchietti retrovisori e di amori verso i camion. E devo dire, per quanto mi riguarda, anche dalle sue esibizioni in concerto insieme al di lei produttore e mentore Chip Taylor. Bene... Ora, per dirla con le parole di una delle peggiori cantanti che la storia del pop ricordi, la ragazza l'ha fatto di nuovo, ed il risultato è decisamente buono. 14 tracce, una presenza molto più massiccia dello stesso Taylor nella stesura dei testi e delle musiche, ed un omaggio a Janis Joplin con una cover più country che blues della sua Mercedes Benz. Sullo sfondo, gli storici collaboratori del cantautore newyorkese e il violino della stessa Kendel si alternano in ballads dal sapore più intimistico e brani più ritmati dal sapore folk-country.
Si inizia con un arrangiamento essenziale, quasi a fare da contraltare alla protagonista della canzone, semisvestita e in attesa, per poi aumentare i battiti con la successiva Belt Buckle, dove la fibbia della cintura del titolo è l'oggetto delle attenzioni di un pretendente.
Un'altra donna e un altro mood strumentale: lady K è piano, hammond e il duetto con Chip è dei migliori. Tra le altre canzoni, vale la pena di ricordare Jesse James (niente a che vedere con il più famoso omonimo), Ten lost men (in cui le atmosfere celtiche rappresentano lo sfondo ideale per il violino della bella kendel), Cowboy boots e la già citata cover di Mercedes Benz.
E a questo punto, se è vero che non c'è due senza tre, attendiamo il prossimo!


24 agosto 2009

intermezzo in nero

File:Johnny Cash At Folsom Prison.jpg
La mattina del 13 gennaio 1968 in pochi forse sapevano che da quel giorno la musica country non sarebbe stata più la stessa, forse nemmeno lui stesso se l'aspettava. Era arrivato nei pressi di Sacramento un paio di giorni prima, fresco di divorzio e con alle spalle un lungo periodo di disintossicazione. Con lui pochi e stretti collaboratori: Carl e le sue scarpe di camoscio blu, i fidi Tennessee Three e ovviamente lei, June, la donna che sarebbe stata la sua compagna per la vita. Chissà se al momento di salire su quell'insolito palcoscenico gli sia davvero passata davanti agli occhi tutta la sua vita fino a quel punto, come suggerito dal bel film uscito qualche anno fa. Probabilmente la realtà sarà stata un po' meno poetica della celluloide, ma sicuramente più di un pensiero avrà attraversato la mente dell'uomo. Già, perché anche se aveva suonato in altre occasioni all'interno di luoghi di massima sicurezza, questa volta l'impegno aveva anche assunto il tono di una scommessa: nessuna Opry a testimoniare il ritorno dell'uomo in nero, ma piuttosto il pubblico che forse sentiva più suo; nessuno studio di registrazione, ma piuttosto un disco dal vivo registrato in quella Folsom che aveva colpito a tal punto la sua immaginazione di giovane soldato, da spingerlo a scriverci su una delle sue canzoni più famose.
La scaletta, un alternarsi di murder ballads e gospel, quasi a voler ribadire verso chi dovesse essere diretta l'attenzione del suo signore, dove egli dovesse guardare e forse long black veil è il punto più rappresentativo di questa commistione.
Chissà se abbia pensato questo o altro, prima che fosse arrivato il momento di ritrovarsi davanti alle luci e di pronunciare le fatidiche parole....
"Hallo, I'm Johnny Cash"


21 agosto 2009

all'ombra del grande timoniere



1. La Cina è vicina?

All’aeroporto arrivo come al solito, ovvero con un anticipo ridotto al minimo e strettamente necessario per cercare di non dover prendere l’aereo al volo come Fantozzi l’autobus sulla sopraelevata del Pigneto. Anche il bagaglio è, come di costume, impacchettato last minute, per cui doccia al volo e si parte. Roma-Beijing passando per Helsinki, scelta probabilmente perdente in termini di attesa all’aeroporto intermedio, ma sicuramente vincente in termini di prezzo, per cui da prendere al volo. E tutto sommato non è nemmeno la più brutta delle città dove atterrare ed è anche abbastanza in linea con la tratta da percorrere, niente di paragonabile con altre geniali combinazioni che ho dovuto provare in momenti di necessità, tipo Roma-Eindhoven passando per Londra oppure Budapest-Marsiglia passando per Bruxelles. L’unico peccato è che l’aeroporto si trova abbastanza fuori città, per cui l’idea di utilizzare il tempo tra i voli per fare un salto in centro a godersi qualche ora di sole sull’Esplanade, magari accompagnata da salmone marinato e Lapin Kulta è destinata a svanire presto. In realtà sia la Lapin Kulta che il salmone marinato non me li sono fatti mancare…certo, in una cornice sicuramente meno affascinante, quale può essere il tavolino di uno dei caffè dell’aeroporto di Vantaa.

Con queste premesse, sono imbarcato anche sul secondo volo e ho scoperto con mia grande sorpresa – era un po’ che non facevo un volo intercontinentale – che ormai l’intrattenimento a bordo ha raggiunto livelli di tecnologizzazione per cui ogni passeggero può scegliere il tipo di intrattenimento audio o video che desidera con un offerta per nulla malvagia. Per cui, decidendo di rivedermi Watchmen e qualche puntata tra Simpson e i Griffin nel periodo non occupato dal sonno e dal fantastico cibo di bordo (che, va detto, non era nemmeno eccessivamente malvagio) mi sono ritrovato a muovermi in volo quasi parallelo alla transiberiana.

E devo dire anche che speravo che la prima impressione di Beijing mi venisse dall’alto e forse così tutto sommato è stato, anche se non nel modo che intendevo io. Infatti, le prime nitide immagini della città che ho ricevuto erano solamente quelle della pista di atterraggio un minuto prima di toccare terra, per il resto, tutt’attorno c’erano solo foschia e cappa che fino all’ultimo mi hanno fatto pensare che fossimo ancora fra le nuvole.

2. La biopolitica al tempo dell’aviaria

È cominciato tutto così: a bordo, insieme alla dichiarazione di ingresso, adesso ti servono anche un modulo da compilare atto ad investigare i tuoi recenti e futuri spostamenti e a chiederti se tu o qualche tuo sodale possiedano sintomi che facciano presagire un contagio da parte del virus H5N1. E fino a qui, tutto sommato la cosa poteva anche sembrarmi ragionevole, visto il panico scatenato ovunque a mezzo stampa. Tuttavia, già il primo sentore che qualcosa non andasse così semplicemente si è avuto quando ci è stato intimato di non scendere dall’aereo anche quando questo fosse atterrato completamente e di attendere l’ok dall’ispettore sanitario. Ma la cosa più impressionante è stato vedere il sistema di filtri e barriere che è stato messo in atto prima del controllo dei visti (ovvero nel punto in cui il famoso modulino di cui sopra avrebbe dovuto essere consegnato). Tre posti di blocco consecutivi ognuno munito di rivelatore infrarosso per stimare a distanza la temperatura corporea, e canali differenziali rispetto alle zone di origine, un altro modo di gestire le frontiere e le linee di confine. Ma questo non è ancora tutto, arrivato alla mia residenza, una specie di studentato per ospiti e dottorandi internazionali, mi è stato intimato di presentarmi ogni mattina per 7 giorni affinché potessero rilevare la mia temperatura corporea e sincerarsi che non diffondessi la pandemia in tutta la Cina. Credo che la mia salute non sia stata mai monitorata così tanto…..


3. Train a-ride

Avendo già anticipato il mio arrivo alla residenza, faccio un passo indietro per parlare del viaggio dall’aeroporto alla residenza stessa. Devo qui premettere, che a questo punto già non ero più da solo perché, nel frattempo, il mio collega americano Pete e la sua ragazza Sharon, di Shanghai (ovviamente lei non si chiama così, si chiama qualcosa tipo Fei Min, ma capita spesso, soprattutto in contesti lavorativi transnazionali, che i locali forniscano una versione occidentalizzata del loro nome, anche se le volte che mi è capitato di imbattermi in tali situazioni mi è sempre stato difficile riconoscere il nesso tra un nome e l’altro). Comunque, considerata l’ora d’arrivo e la possibilità di rimanere bloccati per ore nel traffico, scegliamo di lasciare da parte il taxi che, a dispetto di molte città del mondo, costituisce una delle forme di mobilità più economiche qui in Cina, e optiamo per la combinazione treno-metropolitana. Entrambi costituiscono parte dell’eredità delle recenti Olimpiadi e sono tra i mezzi migliori per spostarsi, anche se meritano quanto meno un paio di considerazioni. La prima riguarda il treno che congiunge il centro cittadino con l’aeroporto: secondo le ultime stime, attraverso l’aeroporto di Beijing l’anno scorso sono transitati qualcosa come 85 milioni di passeggeri….beh, con questi numeri fa strano immaginare che un treno pensato ex novo abbia uno spazio dedicato solo per una decina di valigie a vagone, dando luogo a dei livelli di incastro degni del miglior tetris. La seconda considerazione riguarda la metropolitana, ma in realtà le situazioni di folla in generale. È ovvio e pensabile che in una città che conta più di dieci milioni di abitanti, per quanto frequente possa essere, la metropolitana nelle ore di punta sarà sempre strapiena, e per questo sicuramente la metro A di Roma costituisce un’ottima palestra, però quello che è impressionante è l’approccio Mai dire Banzai con cui gli autoctoni praticano l’obiettivo….


4. Una pizza in compagnia, una pizza da soli….

Ovviamente avrei fatto meglio a scrivere un wanton (o, nella codifica pinyin, un hun-tun) ma la citazione eliana penso possa essere una buona introduzione a questo sottoparagrafo dedicato alla parte culinaria – ovviamente ancora parziale – di questo viaggio. Il cibo, come tra l’altro in molte culture, costituisce un elemento di socialità assolutamente predominante: discussioni d’affari, discussioni di lavoro, chiacchiere tra amici…ogni occasione è buona per non dover affrontare il resto della giornata a stomaco vuoto. E il nostro ospite Zhou Yiang non è stato da meno per cui – riusciti ad estorcere una lieve dilazione di tempo per poterci fare una doccia – siamo subito stati portati a mangiare. E così sono subito entrato in contatto con una di quelle che sono le caratteristiche principali della cucina cinese, ovvero l’assoluta varietà di piatti che essa è in grado di offrire. Che si tratti di carni, pesci, verdure, zuppe, i menù cinesi trasformano in cibo qualsiasi cosa si muova o anche resti ferma …Asino, anguilla, tartarughe, molluschi di varia natura, funghi e altre piante dall’origine botanica assolutamente sconosciuta…persino il tofu riesce quasi a sembrare saporito. E, ovviamente, stando a Pechino, il piatto nazionale…ovvero l’anatra arrosto, non per altro chiamata anatra alla pechinese. La prima che assaggio è in un ristorante in cui ci porta il capo di Sharon e sicuramente è un ottimo inizio. Il ristorante si chiama Da Dong e per cinque anni è stato votato il miglior ristorante di Pechino e, per quanto la mia breve conoscenza della città mi ha permesso di apprezzare, potrei senza dubbio essere d’accordo con chi ha stilato la classifica: già uno sguardo al menù (che credo abbia più pagine del libretto rosso) rappresenta un’esperienza gastronomicamente mistica… Da Dong rappresenta uno di quei posti dove si capisce che la cucina cinese è ben oltre l’immagine che noi ne ricaviamo, ovvero di quella di una cucina a buonissimo mercato e di qualità mediocre: questo è un posto dove tale cucina raggiunge livelli da gourmet. Aiutati dal fatto di essere stati invitati, e quindi di non essere noi a dover pagare, affrontiamo a cuor leggero la prova, iniziando con assaggi di alcuni degli invitantissimi piatti del già citato menù, ma soffermandoci soprattutto su di lei, la protagonista indiscussa della serata, ovvero l’anatra.

Non se ne abbiano a male gli amanti di Paperino o Daffy Duck, però l’anatra alla pechinese è sul serio un piatto speciale. Prima di tutto il concetto: per i pechinesi è un po’ come per noi il maiale…non si butta niente, e infatti, a chiusura di cena (altra particolarità cinese, le zuppe si servono alla fine, e non all’inizio del pasto), alcune parti non utilizzate per l’arrosto ci sono state servite sotto forma di brodo. Poi, il piatto in sé: come ci è stato spiegato dai nostri meticolosi ospiti, c’è una logica da seguire nella degustazione del volatile nazionale, logica che, anche in questo caso, va un po’ a sovvertire il nostro sentire comune. Infatti, si parte con il dolce (per modo di dire) per poi continuare. Quello che io chiamo dolce non sarebbe altro, in realtà, che la cotenna dell’anatra da immergere nello zucchero e mangiare. Deliziosa. Per poi proseguire con il resto della carne, da accostare a verdure crude di vario genere, principalmente cetrioli e rafano, ed imbustare in una specie di crèpe o in un panino al sesamo.


5. Drive my car

Al traffico e alla guida sportiva credevo di essere preparato, vivendo a Roma e comunque avendo ascendenze da terre in cui la guida ordinata e disciplinata è un optional, ma devo dire che girare in macchina per le strade della Cina è assolutamente un’esperienza. Da un lato perché comunque, soprattutto in città come Beijing, che hanno più di 10 milioni di abitanti, in certi momenti della giornata prendere la macchina significa essere consapevoli del fatto che si rimarrà bloccati su qualcuna delle migliaia di strade cittadine le quali, nonostante molte siano a tre o più corsie, comunque non riescono a smaltire il traffico veicolare. Dall’altro, perché un modo di guidare simile non si vede nemmeno nel videogioco più audace. Biciclette che tagliano la strada o che cambiano direzione all’improvviso, ritrovandosi ad andare contromano, macchine che fanno lo stesso, tassisti che si fanno avanti armati di sterzo e clacson e chi più ne ha più ne metta. Ma soprattutto, degno di nota è l’approccio alle strade statali, soprattutto quelle in cui il traffico veicolare non è distribuito in maniera simmetrica tra le due direzioni di marcia: infatti, in questi casi, l’automobilista cinese tende ad occupare entrambe le carreggiate, incurante del fatto che dall’altro lato possa da un momento all’altro arrivare qualcuno, e riservandosi la possibilità di rientrare sulla carreggiata giusta a tempo di record nel momento in cui quel qualcuno stesso si palesi. Quando siamo andati a visitare la grande muraglia, credevo che il farmi stare seduto al posto accanto al guidatore fosse una cortesia che i miei ospiti mi facevano in quanto forestiero e per la prima volta in cina….soltanto dopo ho capito che era perché anche loro avevano paura della guida di chi ci stava accompagnando…..

03 agosto 2009

Other voices, other rooms...



Rubo il titolo al romanzo di Truman Capote (e al bellissimo disco di Nanci Griffith) per parlare di un'altra settimana densa di viaggi e di concerti. L'inizio è stato dei più promettenti, quando in compagnia di amici venuti da vicino e da un po' più lontano, l'estate romana ci ha offerto un john fogerty in splendida forma nella cornice della cavea dell'auditorium.
Tra canzoni più nuove e cavalli di battaglia dei Creedence, sono passate più di due ore di puro rock 'n' roll, in cui l'abilità chitarristica e vocale di fogerty è stata brillantemente sostenuta da una band assolutamente all'altezza, e da un pubblico entusiasta che non ha smesso mai di cantare e ballare.
Con queste note ancora nella testa, ho preso un aereo con destinazione Santander. Già perché la decisione di risentire il boss allo stadio di Bilbao è stata la scusa per visitare i paesi baschi ed andare a trovare alcuni amici. Del concerto di Springsteen dirò poco, avendo già parlato del precedente, menzionando solamente la presenza in scaletta di Factory e This Hard Land ed un'incredibile versione di You never can tell di Chauck Berry, improvvisata su richiesta di qualcuno del pit. Qualche parola di più merita forse bilbao. Non saprei se si possa definire una città bella, per quanto contenga degli elementi di sicuro valore, però è una città sicuramente audace nella sua architettura e nella sua sfida a mescolare elementi di grande modernità come lo splendido Guggenheim di Frank Gehry ed edifici di diversi secoli prima. Sicuramente un posto in cui ritornare....magari per un altro concerto ...

30 luglio 2009

Maledetta Lisbeth!!



Now judge judge I had debts no honest man could pay
The bank was holdin' my mortgage and they was takin' my house away
Now I ain't sayin' that makes me an innocent man
But it was more 'n all this that put that gun in my hand...


Mi ero ripromesso di leggere la trilogia di Stieg Larsson molto tempo fa, quando in una delle meno recenti visite in Danimarca avevo visto i libri appena usciti e mi ero fatto tradurre da un amico locale le quarte di copertina, poi in attesa delle traduzioni in una delle lingue che potessi leggere in maniera più fluente, avevo lasciato da parte l'idea e mi ero buttato nel frattempo su tanti altri libri di vario genere.
Alla fine, grazie soprattutto ad un'ottima traduzione inglese (di gran lunga migliore di quella italiana, sia come ritmo narrativo che come resa dell'originale svedese - per quel pochissimo di scandinavo che riesco ad intuire) e ad una meravigliosa offerta half price, che mi ha permesso di acquistare i primi due volumi 4 pounds l'uno, mi sono gettato nell'impresa.
Beh, il risultato è stato che la costruzione narrativa di Larsson, la sua scrittura a un tempo asciutta e polifonica, e l'ottima caratterizzazione dei protagonisti hanno fatto sì che mi divorassi le più di mille e settecento pagine dei tre volumi in poco più di quattro giorni (complici anche un po' di trasferimenti aerei, treni e bus che nel frattempo ho dovuto prendere).
E va detta un'altra cosa...negli ultimi anni, si è andata delineando una tendenza che sembra aver identificato nel noir, o, se si preferisce il termine, nelle crime novels, il genere d'elezione per cartografare i divenire della e nella società contemporanea. Prendendo a prestito delle categorie già analizzate da Manchette e poi da Girolamo de Michele, si può affermare che il noir sia un genere etico (e in molti casi, sia il piano dove l'etica si contrappone alla morale). E proprio questa caratterizzazione riappare spesso nei romanzi di Larsson, in particolare incarnata nelle figure dei protagonisti ma non solo. A tale proposito, mi piace chiudere, rubando una frase a Lisbeth Salander, e in particolare una delle frasi che ho amato di più in tutta la trilogia.

non esistono innocenti. ci sono, tuttavia,
diversi gradi di responsabilità

20 luglio 2009

s...concerti



Se c'è una cosa cui i lettori di questo blog si sono dovuti abituare, questa è la sua costante irregolarità. Principalmente scrivo quando ne ho voglia ma ci sono momenti in cui anche la voglia da sola non riesce a farsi strada attraverso la mancanza di tempo. E comunque mentre alla seconda, in qualche modo si può sopperire, ben più difficile è farlo con la prima. Tuttavia, a volte ci sono episodi, anche piccoli, che fungono da stimolo e per quanto riguarda questo mio ritorno ho già segnalato altrove e direttamente alla persona che se ne può dire artefice la sua parte di responsabilità, per cui non spreco altre parole e vado subito al dunque.
Si sa che l'estate porta concerti - un po' come la notte porta consiglio - e, nonostante il mio nomadismo particolarmente accentuato di questi tempi, due di questi concerti mi hanno visto come spettatore e meritano almeno una menzione.
Ryland Peter Cooder è un monumento della musica americana degli ultimi 40 anni, oltre ad essere uno dei più grandi chitarristi in circolazione eppure ho constatato per esperienza diretta che, a parte alcuni amici che con me condividono la passione per la musica d'oltreoceano, ai più il nome dicesse poco o, nel migliore dei casi, fosse accostato esclusivamente a Buena Vista Social Club. Musicista eclettico come pochi, Ry Cooder negli anni ha saputo declinare la musica in tutti i suoi aspetti, passando dal blues al folk o dal jazz alla musica latinoamericana, attraversando tutti questi generi con uno stile assolutamente personale. Fortuna ha voluto che qualche settimana fa Ry fosse a Roma per un concerto con il bassista e cantautore Nick Lowe e con il figlio Joachim alla batteria. Avrebbe dovuto esserci anche Flaco Jimenez a completare un quartetto da sogno, ma purtroppo motivi di salute l'hanno lasciato dall'altra parte dell'Atlantico. Tuttavia il trio è riuscito a non far pesare quest'assenza esaurendo al meglio le possibilità dei rispettivi strumenti e voci e regalando classici come Vigilante man, Jesus on the mainline, Fool who knows e l'immancabile Little sister.
Musica di altissimo livello, così come di altissimo livello è stato il concerto a cui ho assistito ieri sera. A differenza di Cooder, che ascoltavo dal vivo per la prima volta, ormai ho smesso di contare i concerti del Boss a cui sono stato, concerti in tutte le formazioni, da solo, con il gruppo della "rottura", con la seeger session band e, ovviamente, con la più grande macchina da rock 'n' roll al mondo, la e-street band. Eppure, ogni volta che le luci si spengono e comincia a suonare il tema di c'era una volta in america per segnalare l'ingresso in scena è sempre un'emozione che si rinnova. Ieri sera, nonostante il rinvio di un'ora legato al nuoto, e le ore che diventavano sempre più piccole, si sono accumulate 3 ore piene di musica e "rumore" come sottolineato ironicamente in risposta alle denunce per il concerto di milano. E che concerto sarebbe stato si è visto dall'inizio con l'apertura travolgente sulle note di bandlands prima ed out in the streets poi, subito seguite da un'esecuzione di outlaw pete in cui la mimica e il canto quasi recitato del boss erano sospesi tra l'asse seeger/guthrie e le atmosfere alla sergio leone. Senza descrivere tutto, qualche nota sparsa. Seeds, che per questo tour il boss ha deciso di inserire quasi stabilmente in scaletta, dal vivo rende magnificamente. Così come assolutamente suggestiva è stata l'esecuzione di American Skin: l'ho già scritto da un'altra parte comunque mi piace pensare che il fatto che quando ha eseguito questa canzone fosse da un po' già passata la mezzanotte e si fosse quindi entrati in una data che richiama altre pallottole di altri poliziotti, non sia stato del tutto casuale. E ancora, il tirare fuori dal cilindro pezzi assurdi come Raise your hand o you can't sit down e la struggente versione di my city of ruins, con la dedica che si è portata dietro.

06 marzo 2009

Riletture notturne



"Triste, quella sera, lo ero. La morte di Ugo mi restava sullo stomaco. Mi sentivo oppresso. E solo. Più che mai. Ogni anno, cancellavo dalla mia agenda gli amici che facevano discorsi razzisti. Trascuravo coloro che sognavano solo macchine nuove e vacanze al Club Med. Dimenticavo tutti quelli che giocavano al lotto. Amavo la pesca ed il silenzio. Camminare sulle colline. Bere del Cassis freddo. Del Lagavulin, o dell'Oban, tardi nella notte. Parlavo poco. Avevo le mie idee su tutto. La vita, la morte. Il Bene, il Male. Andavo matto per il cinema. Ero appassionato di musica. Non leggevo più i romanzi contemporanei. E più di tutto mi facevano schifo i pavidi, i mollaccioni.
Tutto ciò, aveva sedotto parecchie donne. Non ero riuscito a tenerne neppure una. Ogni volta rivivevo la stessa storia. Quel che a loro piaceva in me, si mettevano a cercare di cambiarlo, appena sistemate nelle lenzuola nuove di una vita in comune. 'Nessuno ti cambierà' mi disse Rosa andandosene, sei anni fa. Ci aveva provato per due anni. Ma avevo resistito. Ancora di più che con Muriel, Carmen e Alice. E poi alla fine, una notte, mi ritrovavo davanti a un bicchiere vuoto e un posacenere pieno di cicche."
Casino Totale - Jean-Claude Izzo

08 gennaio 2009

...c'era la neve.....

Il mese arrivato di colpo è stato quello di gennaio, che con i suoi fuochi della mezzanotte si è portato via gli ultimi strascichi del recente anno bisestile. Una mezzanotte che, almeno per quanto mi riguarda, è stata anticipata di almeno tre ore dallo zelo dei miei vicini di casa danesi, che hanno iniziato a tirare fuori razzi ed armamentari vari ed a sparare già dalle nove di sera. Ma non è di Copenhagen che voglio parlare qui, quanto della fine delle mie vacanze e, quindi, dei due giorni che - proprio di ritorno dalla capitale danese - ho passato in un'altra delle città del mio cuore, Berlino.
Questa volta, per citare una delle canzoni che mi dispiace meno di un cantautore che in genere non amo troppo, la neve c'era e ce n'era pure tanta ad imbiancare le strade, i palazzi ed i parchi, con Görlitzer Park che si era trasformato in un'enorme pista di slittino per la gioia di tutti i bambini del circondario. Ed è stato ancora più suggestivo del solito camminare alle ultime luci del tramonto tra i blocchi di calcestruzzo che costituiscono il Denkmal für die ermordeten Juden Europas, anch'essi coperti di neve quasi a richiamare alla memoria i versi del noto cantautore modenese.
Infine la sera....passata alla Philharmonie ad assistere ad una delle più belle interpretazioni del concerto per pianoforte di Schumann, in cui la direzione orchestrale di Barenboim (impreziosita dal suo essere originariamente pianista) si è perfettamente fusa con la maestria strumentale di Pollini. Contrappunti inauditi (in senso letterale, mai ascoltati prima in maniera così chiara), fraseggi perfetti e sopra ogni cosa la gioia di fare musica. E il Ravel orchestrale della seconda metà del concerto non è stato di certo da meno.

02 gennaio 2009

Yet another movie



Potenza della rete...nonostante il film non sia ancora uscito nemmeno in molte delle sale americane, grazie un sito che e' una vera e propria cineteca in streaming sono riuscito a vedere in anteprima il film che ha vinto Venezia e che ha buone probabilita' di portarsi a casa almeno due Oscar "pesanti". Non nascondo che il mio giudizio possa essere falsato dal fatto che in genere i film sullo sport mi piacciono molto, anche perche' spesso riescono a parlare della vita a 360 gradi, lo sport stesso essendone una metafora spesso nemmeno troppo celata.
Ad ogni modo, The Wrestler risulta senz'altro un film ben fatto, con un Mickey Rourke superlativo nella parte del lottatore ormai cinquantenne e relegato nei circuiti di serie D, costretto ad arrotondare con un lavoro part time ai grandi magazzini e praticamente privo di rapporti interpersonali, se non quelli - inizialmente mediati dal denaro - con la spogliarellista Marisa Tomei (anche lei in grande spolvero).
Non e' un film di lunghi dialoghi questo, ed e' proprio questa caratteristica che fa risaltare ancora di piu' la grandezza recitativa di Rourke, in grado di alternare espressioni che spesso passano quasi senza soluzione di continuita' dal sardonico al disperato, dallo sbruffone alla piu' cupa fragilita'.
...E a fare da ciliegina sulla torta, una splendida canzone del Boss ad accompagnare i titoli di coda.
Have you ever seen a one-legged man trying to dance his way free?
If you've ever seen a one-legged man then you've seen me

11 dicembre 2008

Un'altra volta, un'altra onda



La data che porta il mio ultimo post è quella di poco più di due mesi fa. Soli due mesi eppure ne son successe di cose, molte delle quali - per una ragione o per l'altra mi hanno costretto a trascurare questo blog più del solito. Ancora per qualche giorno continuo a dividere i miei giorni tra Roma e Copenhagen, anche se dovrei dire Frederiksberg, visto che nel frattempo ho cambiato appartamento, con un gruppo di amici che si è andato via via allargando e rapporti che hanno acquistato maggiore consistenza.

Y te acercas, y te vas
después de besar mi aldea.
Jugando con la marea

te vas, pensando en volver.
Eres como una mujer
perfumadita de brea

que se añora y que se quiere
que se conoce y se teme.

Le note di Serrat fanno compagnia alle luci della notte che si mescolano con i fumi degli ultimi camini rimasti accesi...fa strano sentir parlare di Mediterraneo con l'aria che promette neve ed i mercatini di Natale a far da contrappunto alle banchine lungo i canali di questi nordici porti, ma ci sta anche questo.
E poi, non era di questi mari che volevo andare a parlare, ma di altre onde e mareggiate. Già, perché in quest'arco di tempo di silenzio, si è dato anche qualcos'altro: l'intreccio tra la crisi globale e la crisi del sistema universitario ha prodotto il più grande movimento universitario da molti anni a questa parte e una lotta moltitudinaria che si è estesa a praticamente tutte le componenti del lavoro immateriale. E così l'onda si è gonfiata sempre più, fino a diventare la mareggiata del 14 novembre, con la successiva assemblea nazionale, ha invaso le strade, le piazze, i teatri ed altro ancora. E non solo in Italia. Da Barcellona ad Utrecht, da Madrid a Parigi, ed anche qui a Copenhagen è stato tutto un moltiplicarsi di iniziative, di dimostrazioni, di azioni.....

"Il sapere che produciamo è ricchezza e ce la stanno rubando, romperemo gli orologi e le bilance per misurare le nostre conoscenze e stabilire la rata del nostro debito, romperemo le regole del nostro sfruttamento.
Siamo troppo veloci per essere catturati, siamo troppo produttivi per essere sfruttati, siamo troppo travolgenti per essere fermati. La nostra felicità è la vostra crisi.
Siamo l'esercito del surf e abitiamo le pieghe dell'onda.
Arrendetevi, siete circondati!"

08 ottobre 2008

Non è proprio questione d'amore, è qualcosa di più...




Ci sono giorni in cui - chi più chi meno - ci si chiede se abbia senso scrivere o parlare d'amore non meno di quanto ci si possa chiedere se l'amore esista o meno e che cosa significhi essere innamorati. E in caso affermativo, in che modo si possa parlare d'amore. Per quanto mi riguarda, ci sono pochi dialoghi che riescano a competere con la sognante freschezza di Irene Jacob e l'ellittica profondità di Jean Louis Trintignant nella scena centrale di Film Rosso.
"C'è qualcuno che lei ama?"
"No"
"E' mai stato innamorato?"
"Stanotte ho sognato, ho sognato lei. Aveva 40 o 50 anni ed era felice"
"Di solito i suoi sogni si avverano?"
"Era tempo che non sognavo qualcosa di così bello"

06 ottobre 2008

In fila per tre....


Riprendere a scrivere quando si è in silenzio per un po' può spesso risultare difficile, non tanto perché si interrompe il contatto col lettore - ché molte volte si scrive più per se stessi che per gli altri - quanto piuttosto, soprattutto quando si parla di un blog, e quindi quasi di una sorta di diario, il tempo continua a scorrere inesorabilmente e ad argomenti si sommano argomenti per cui uno vorrebbe in un colpo solo parlare di tante cose. Ed è così anche in questo caso....settimane di silenzio che hanno sono state settimane di vita, incontri e situazioni da raccontare, libri e film, persone, città, ma anche settimane di eventi che al personare possono attenere in maniera più o meno stretta. E allora da dove cominciare?
E mi verrebbe quasi da rispondere, con Troisi, ricomincio da tre, anche per dare un senso a quel numero che ho messo nel titolo, e la risposta in realtà, così come il titolo stesso non sarebbe peregrina. Tre nomi, tre persone, tre artisti per i quali non è stato aprile il più crudele dei mesi, ma il settembre appena trascorso. Due non li conoscevo direttamente, ma solo attraverso la loro arte e quello che hanno saputo darmi. Il primo, con le note di quella tastiera che tante volte ho risuonato in concerto, il secondo con i suoi occhi blu e i suoi personaggi memorabili (Cool Hand Luke, Butch Cassidy, "Fast" Eddie Felson). Il terzo invece era il meno famoso dei tre, ma era un amico. Molti lo conoscevano per una o due canzoni, alcuni altri avranno canticchiato mille volte il suo ritornello più famoso, ignorandone l'autore...Eppure Stefano di canzoni ne ha scritte tante, fino all'ultimo; anzi, negli ultimi anni aveva ripreso a fare dischi (autoprodotti) con una frequenza che tradiva la sua voglia di fare musica e di comunicare. Un ricordo fra tutti....un giorno mi chiama e mi dice che vuole registrare alla stazione di Manziana, perché c'è un'acustica splendida e, in fondo, passa solo un treno ogni ora. E così, minidisc alla mano, siamo andati lì e l'acustica era veramente perfetta, ma quello che ricordo di più era la sua voglia di suonare, una lunga teoria di musica, da john denver a lennon passando per pezzi suoi, musiche di ispirazione caraibica ed un vasto repertorio fingerpicking, genere del quale era maestro. Ecco, se devo pensare a Stefano mi piace ricordarlo così....
Grazie per i giorni ad occhi aperti
grazie per gli amici, quelli veri
per i sentimenti ancora incerti
diventati poi sinceri
grazie forse un po' all'età
...
grazie per le sere coi parenti
per le botte in mezzo ai denti
da chi non sente pietà
e grazie per i sentimenti belli
perché in fondo sono quelli
la mia sola libertà.

Ma, parlando di canzoni, voglio chiudere questo post con le parole di quella che è forse, tra quelle che Stefano ha scritto, la mia preferita, per più di un motivo.

BOLOGNA '77 (Stefano Rosso)
L’inverno passava qualcuno di lì
Il nastro girava, suonava “Lilly”,
Girava il pallone, lo stadio impazzì
La voce tremava, l’inverno finì.

E poi primavera, e qualcosa cambiò
Qualcuno moriva, e su un ponte lasciò
Lasciò i suoi vent’anni e qualcosa di più
E dentro i miei panni, la rabbia che tu

Da sempre mi dai, parlando per me
Scavando nei pensieri miei,
Guardandomi poi dall’alto all’ingiù
E forse io valgo di più.

L’estate moriva, Bologna, tremò,
La dalia fioriva e la gente pensò
Dei tanti domani vestiti di jeans
Chiamandoli “strani”, ma non fu così

E quando m’incontri, se pensi di me
Tu sappi che il sole che splende per te
E il grano che nasce, e l’acqua che va
E’ un dono di tutti, padroni non ha

E il grano che nasce, e l’acqua che va
E’ un dono di tutti, padroni non ha.

19 agosto 2008

Live from Denmark

Quasi venti giorni e di questa ennesima permanenza danese ho scritto poco più che un paio di righe incidentali in un altro post. Come si vedrà, effettivamente, anche questa volta la città non sarà che un punto di partenza per parlare d'altro, ma tant'è. Copenhagen, dicevamo, d'estate mostra il suo vestito della festa: lunghe giornate accompagnate da quella luce del nord di cui ho già parlato, concerti in diverse piazze, giardini in fiore e tavolini fuori, come un lungo ed unico bistrot che si dipana per i canali. Niente residenza universitaria questa volta, ma un appartamento nel quartiere di Amager (che gli autoctoni, evidentemente preoccupati per lo stato dei loro polmoni, pronunciano Ama' risparmiando ben tre lettere...), quartiere che la mia guida non esita a definire operaio e che probabilmente adesso si va gradualmente gentrificando, vista la sua vicinanza con il campus universitario. Ma torniamo all'appartamento: al di là del noto gusto danese per il design, che fa sì che qualsiasi posto anche piccolissimo qui sia arredato piacevolmente, la casa possiede un elemento fondamentale che me l'ha fatta amare fin da subito, ovvero un giradischi. A questo si aggiunga che i miei padroni di casa mi hanno lasciato un'ampia collezione di vinili (e anche di cd, va detto) di quelli che avrei potuto benissimo aver comprato io: Johnny Cash, Nick Cave, Jeff Buckley, Cohen ed Eric Clapton, Dire Straits e Led Zeppelin, solo per citarne alcuni. E tra questi, oggi mi va di fermarmi a parlare di uno in particolare.
L'autore è di quelli che per molti lettori di questo blog - e non solo - non ha bisogno di molte presentazioni ed il disco in questione è tra i suoi più famosi e, a mio parere, più belli. Come forse si poteva già intuire dalla foto scelta come apertura di questo post, sto parlando di Willie Nelson e del suo "Across the borderline". La struttura del disco assomiglia molto a quella che avrebbe poi caratterizzato gli American Recordings di Johnny Cash: collaborazioni di alto livello ed un repertorio fatto di molte cover e qualche inedito dello stesso Willie.

And I don't know a soul who's not been battered
I don't have a friend who feels at ease
I don't know a dream that's not been shattered
or driven to its knees
Si comincia con la chitarra di Paul Simon a fare da contrappunto alla voce di Willie che interpreta la sua American Tune, quasi un recitativo in alcuni punti sostenuto solo da un arabesco di pedal steel a ricordare come non ci si possa sentire benedetti per sempre.

Other people say
stop living in the past
but when there's nothing left
it's your memory that lasts
Ed a ribadire questo concetto, seppure in un ambito più ristretto, ci pensa il brano successivo, Getting over you, dove la voce di Bonnie Raitt ci accompagna attraverso i cocci di un amore finito, che è sempre difficile lasciarsi alle spalle.

I was taught to fight, taught to win
I never thought I could fail
No fight left or so it seems
I am a man whose dreams have all deserted
Ive changed my face, Ive changed my name
But no one wants you when you lose
E così dopo un omaggio a John Hiatt e al suo peccato meno originale troviamo un'altra perla del disco: parole e musica di Peter Gabriel e la voce di Sinead O' Connor per dipingere un altro personaggio borderline in cerca di riscatto.

There's a home place under fire tonight in a heartland
And bankers are taking the homes and the land away
There's a young boy closin' his eyes tonight in a heartland
Who will wake up a man with some land and a loan he can't pay
Ancora un duetto, una canzone che si dice sia stata scritta a quattro mani via fax (un po' come Massimiliano ed Andrea per città di frontiera), un altro nome che non ha bisogno di presentazioni, mr. Robert Zimmerman, ancora un'immagine in musica della dissoluzione del sogno americano.

When you reach the broken promised land
And every dream slips through your hands
Then youll know that its too late to change your mind
cause youve paid the price to come so far
Just to wind up where you are
And youre still just across the borderline
Avrei dovuto dire due immagini, perché senza soluzione di continuità si passa ad un'altra cover "di lusso", quell'Across the Borderline di Ry Cooder e John Hiatt che dà il titolo al disco. La terra promessa è 'broken' esattamente come si rivelerà in alcune canzoni di Springsteen (che non a caso ha più volte cantato dal vivo questa canzone, che ultimamente è stata ripresa anche da Tom Russell) e il Rio Grande un sospiro che scorre tra la vita e la morte. La voce di Kris Kristofferson ai cori impreziosisce ulteriormente questo brano.

E ancora omaggi al Dylan di Oh mercy e a Paul Simon (Graceland), più due cover di Lyle Lovett insieme ai pezzi scritti direttamente da Willie concorrono a fare di questo un gran disco.