20 luglio 2009

s...concerti



Se c'è una cosa cui i lettori di questo blog si sono dovuti abituare, questa è la sua costante irregolarità. Principalmente scrivo quando ne ho voglia ma ci sono momenti in cui anche la voglia da sola non riesce a farsi strada attraverso la mancanza di tempo. E comunque mentre alla seconda, in qualche modo si può sopperire, ben più difficile è farlo con la prima. Tuttavia, a volte ci sono episodi, anche piccoli, che fungono da stimolo e per quanto riguarda questo mio ritorno ho già segnalato altrove e direttamente alla persona che se ne può dire artefice la sua parte di responsabilità, per cui non spreco altre parole e vado subito al dunque.
Si sa che l'estate porta concerti - un po' come la notte porta consiglio - e, nonostante il mio nomadismo particolarmente accentuato di questi tempi, due di questi concerti mi hanno visto come spettatore e meritano almeno una menzione.
Ryland Peter Cooder è un monumento della musica americana degli ultimi 40 anni, oltre ad essere uno dei più grandi chitarristi in circolazione eppure ho constatato per esperienza diretta che, a parte alcuni amici che con me condividono la passione per la musica d'oltreoceano, ai più il nome dicesse poco o, nel migliore dei casi, fosse accostato esclusivamente a Buena Vista Social Club. Musicista eclettico come pochi, Ry Cooder negli anni ha saputo declinare la musica in tutti i suoi aspetti, passando dal blues al folk o dal jazz alla musica latinoamericana, attraversando tutti questi generi con uno stile assolutamente personale. Fortuna ha voluto che qualche settimana fa Ry fosse a Roma per un concerto con il bassista e cantautore Nick Lowe e con il figlio Joachim alla batteria. Avrebbe dovuto esserci anche Flaco Jimenez a completare un quartetto da sogno, ma purtroppo motivi di salute l'hanno lasciato dall'altra parte dell'Atlantico. Tuttavia il trio è riuscito a non far pesare quest'assenza esaurendo al meglio le possibilità dei rispettivi strumenti e voci e regalando classici come Vigilante man, Jesus on the mainline, Fool who knows e l'immancabile Little sister.
Musica di altissimo livello, così come di altissimo livello è stato il concerto a cui ho assistito ieri sera. A differenza di Cooder, che ascoltavo dal vivo per la prima volta, ormai ho smesso di contare i concerti del Boss a cui sono stato, concerti in tutte le formazioni, da solo, con il gruppo della "rottura", con la seeger session band e, ovviamente, con la più grande macchina da rock 'n' roll al mondo, la e-street band. Eppure, ogni volta che le luci si spengono e comincia a suonare il tema di c'era una volta in america per segnalare l'ingresso in scena è sempre un'emozione che si rinnova. Ieri sera, nonostante il rinvio di un'ora legato al nuoto, e le ore che diventavano sempre più piccole, si sono accumulate 3 ore piene di musica e "rumore" come sottolineato ironicamente in risposta alle denunce per il concerto di milano. E che concerto sarebbe stato si è visto dall'inizio con l'apertura travolgente sulle note di bandlands prima ed out in the streets poi, subito seguite da un'esecuzione di outlaw pete in cui la mimica e il canto quasi recitato del boss erano sospesi tra l'asse seeger/guthrie e le atmosfere alla sergio leone. Senza descrivere tutto, qualche nota sparsa. Seeds, che per questo tour il boss ha deciso di inserire quasi stabilmente in scaletta, dal vivo rende magnificamente. Così come assolutamente suggestiva è stata l'esecuzione di American Skin: l'ho già scritto da un'altra parte comunque mi piace pensare che il fatto che quando ha eseguito questa canzone fosse da un po' già passata la mezzanotte e si fosse quindi entrati in una data che richiama altre pallottole di altri poliziotti, non sia stato del tutto casuale. E ancora, il tirare fuori dal cilindro pezzi assurdi come Raise your hand o you can't sit down e la struggente versione di my city of ruins, con la dedica che si è portata dietro.

1 commento:

la roscia ha detto...

:)