30 luglio 2009

Maledetta Lisbeth!!



Now judge judge I had debts no honest man could pay
The bank was holdin' my mortgage and they was takin' my house away
Now I ain't sayin' that makes me an innocent man
But it was more 'n all this that put that gun in my hand...


Mi ero ripromesso di leggere la trilogia di Stieg Larsson molto tempo fa, quando in una delle meno recenti visite in Danimarca avevo visto i libri appena usciti e mi ero fatto tradurre da un amico locale le quarte di copertina, poi in attesa delle traduzioni in una delle lingue che potessi leggere in maniera più fluente, avevo lasciato da parte l'idea e mi ero buttato nel frattempo su tanti altri libri di vario genere.
Alla fine, grazie soprattutto ad un'ottima traduzione inglese (di gran lunga migliore di quella italiana, sia come ritmo narrativo che come resa dell'originale svedese - per quel pochissimo di scandinavo che riesco ad intuire) e ad una meravigliosa offerta half price, che mi ha permesso di acquistare i primi due volumi 4 pounds l'uno, mi sono gettato nell'impresa.
Beh, il risultato è stato che la costruzione narrativa di Larsson, la sua scrittura a un tempo asciutta e polifonica, e l'ottima caratterizzazione dei protagonisti hanno fatto sì che mi divorassi le più di mille e settecento pagine dei tre volumi in poco più di quattro giorni (complici anche un po' di trasferimenti aerei, treni e bus che nel frattempo ho dovuto prendere).
E va detta un'altra cosa...negli ultimi anni, si è andata delineando una tendenza che sembra aver identificato nel noir, o, se si preferisce il termine, nelle crime novels, il genere d'elezione per cartografare i divenire della e nella società contemporanea. Prendendo a prestito delle categorie già analizzate da Manchette e poi da Girolamo de Michele, si può affermare che il noir sia un genere etico (e in molti casi, sia il piano dove l'etica si contrappone alla morale). E proprio questa caratterizzazione riappare spesso nei romanzi di Larsson, in particolare incarnata nelle figure dei protagonisti ma non solo. A tale proposito, mi piace chiudere, rubando una frase a Lisbeth Salander, e in particolare una delle frasi che ho amato di più in tutta la trilogia.

non esistono innocenti. ci sono, tuttavia,
diversi gradi di responsabilità

20 luglio 2009

s...concerti



Se c'è una cosa cui i lettori di questo blog si sono dovuti abituare, questa è la sua costante irregolarità. Principalmente scrivo quando ne ho voglia ma ci sono momenti in cui anche la voglia da sola non riesce a farsi strada attraverso la mancanza di tempo. E comunque mentre alla seconda, in qualche modo si può sopperire, ben più difficile è farlo con la prima. Tuttavia, a volte ci sono episodi, anche piccoli, che fungono da stimolo e per quanto riguarda questo mio ritorno ho già segnalato altrove e direttamente alla persona che se ne può dire artefice la sua parte di responsabilità, per cui non spreco altre parole e vado subito al dunque.
Si sa che l'estate porta concerti - un po' come la notte porta consiglio - e, nonostante il mio nomadismo particolarmente accentuato di questi tempi, due di questi concerti mi hanno visto come spettatore e meritano almeno una menzione.
Ryland Peter Cooder è un monumento della musica americana degli ultimi 40 anni, oltre ad essere uno dei più grandi chitarristi in circolazione eppure ho constatato per esperienza diretta che, a parte alcuni amici che con me condividono la passione per la musica d'oltreoceano, ai più il nome dicesse poco o, nel migliore dei casi, fosse accostato esclusivamente a Buena Vista Social Club. Musicista eclettico come pochi, Ry Cooder negli anni ha saputo declinare la musica in tutti i suoi aspetti, passando dal blues al folk o dal jazz alla musica latinoamericana, attraversando tutti questi generi con uno stile assolutamente personale. Fortuna ha voluto che qualche settimana fa Ry fosse a Roma per un concerto con il bassista e cantautore Nick Lowe e con il figlio Joachim alla batteria. Avrebbe dovuto esserci anche Flaco Jimenez a completare un quartetto da sogno, ma purtroppo motivi di salute l'hanno lasciato dall'altra parte dell'Atlantico. Tuttavia il trio è riuscito a non far pesare quest'assenza esaurendo al meglio le possibilità dei rispettivi strumenti e voci e regalando classici come Vigilante man, Jesus on the mainline, Fool who knows e l'immancabile Little sister.
Musica di altissimo livello, così come di altissimo livello è stato il concerto a cui ho assistito ieri sera. A differenza di Cooder, che ascoltavo dal vivo per la prima volta, ormai ho smesso di contare i concerti del Boss a cui sono stato, concerti in tutte le formazioni, da solo, con il gruppo della "rottura", con la seeger session band e, ovviamente, con la più grande macchina da rock 'n' roll al mondo, la e-street band. Eppure, ogni volta che le luci si spengono e comincia a suonare il tema di c'era una volta in america per segnalare l'ingresso in scena è sempre un'emozione che si rinnova. Ieri sera, nonostante il rinvio di un'ora legato al nuoto, e le ore che diventavano sempre più piccole, si sono accumulate 3 ore piene di musica e "rumore" come sottolineato ironicamente in risposta alle denunce per il concerto di milano. E che concerto sarebbe stato si è visto dall'inizio con l'apertura travolgente sulle note di bandlands prima ed out in the streets poi, subito seguite da un'esecuzione di outlaw pete in cui la mimica e il canto quasi recitato del boss erano sospesi tra l'asse seeger/guthrie e le atmosfere alla sergio leone. Senza descrivere tutto, qualche nota sparsa. Seeds, che per questo tour il boss ha deciso di inserire quasi stabilmente in scaletta, dal vivo rende magnificamente. Così come assolutamente suggestiva è stata l'esecuzione di American Skin: l'ho già scritto da un'altra parte comunque mi piace pensare che il fatto che quando ha eseguito questa canzone fosse da un po' già passata la mezzanotte e si fosse quindi entrati in una data che richiama altre pallottole di altri poliziotti, non sia stato del tutto casuale. E ancora, il tirare fuori dal cilindro pezzi assurdi come Raise your hand o you can't sit down e la struggente versione di my city of ruins, con la dedica che si è portata dietro.