15 marzo 2006

è sabato

Bologna, piazza Verdi, tanti anni fa quanti ne ha al momento colui che scrive.
Lavorare con lentezza
senza fare alcuno sforzo....
La radio in sottofondo riporta l'ultima voce di Alice, frammista ai sibili dei colpi di mitraglia sparati ad altezza d'uomo. Lo sconcerto si mischia con la rabbia delle barricate, il fumo dei cassonetti dati alle fiamme cela, insieme ai fazzoletti e alle bandane, un pianto dirotto che si strozza in gola: il paese delle meraviglie, se mai c'è stato, non esiste più da tempo. Per terra, nel sangue, una speranza di futuro.

Stesso giorno, 29 anni dopo. Altre città.
L'inverno passava
qualcuno di lì...

Quand'ebbe riconosciuto l'odore a lui più che familiare, l'uomo sussultò al pensiero di trovarsi davanti una parte del suo passato che egli aveva tentato invano di seppellire dietro un'apparente rispettabilità borghese ed una famiglia regolare. Quell'odore aveva sempre significato per lui presa di responsabilità, la responsabilità di essere fedeli al se stesso che aveva deciso di essere, anche a costo dell'esercizio della violenza.

Finché la violenza dello stato
si chiamerà giustizia
la nostra giustizia
si chiamerà violenza.

Era questa un'equazione che si era sentito più volte di fare, posto di fronte alla scelta tra scappare di fronte al nemico di allora o afferrare la prima cosa che fosse a portata di mano, il primo oggetto utile che la strada offrisse, e farne uno strumento di difesa sì, ma anche di offesa, ove si rendesse necessario. Non era ancora venuto il riflusso ad ingrossare le fila delle carceri e a trasformare un'intera generazione in un esercito di ombre, traghettate da uno speciale all'altro non da un nocchiero dagli occhi di bragia, bensì da molto più anonimi latori, su una meno poetica vettura blindata.

E se nei vostri quartieri
tutto è rimasto come ieri,
senza le barricate,
senza feriti, senza granate....
Le parole del cantautore genovese, tante volte cantate e spesso gridate, ritornavano insistentemente alla mente, mentre si rivedeva più giovane di trent'anni a calpestare le strade di un'altra città attraversata dalle stesse fiamme. Si ricordava bene come continuasse quella canzone, perché, come tanti altri della sua generazione, si era sempre sentito coinvolto, al punto di arrivare anche a barattare la dolcezza degli abbracci con una breve clandestinità. Roba da poco, in anni in cui altri sferravano l'attacco al cuore dello stato, ma sempre abbastanza da tingere di solitudine gli anni della sconfitta.

Milano mia, portami via
fa tanto freddo, schifo e non ne posso più
facciamo un cambio, prenditi pure
quel po' di soldi, quel po' di celebrità
ma dammi indietro la mia seicento
i miei vent'anni e la ragazza che tu sai.
L'uomo cammina senza specchiarsi nelle vetrine. Era sempre stato troppo preoccupato di avere la mano piena ed il passo veloce per accorgersi di quanto possa essere drammaticamente unica la luce del giorno filtrata attraverso le fiamme di una barricata. Passo dopo passo dimentica di essere uno dei tanti personaggi di un normale sabato italiano in città e, nella sua testa, nomi e date, strade e occasioni si confondono come un fotomontaggio fatto male. Un altro passo e poi si ferma: la sua mano è troppo vuota per poter viaggiare al ritmo lento dei suoi piedi, gli occhi sono rigati di lacrime anche se i candelotti cadono lontano....anche i cassonetti e le auto non fumano più...

Tutte le cose hanno la mestizia della fine.

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