05 ottobre 2006

La ballata del vecchio e dell'oceano


Due canzoni, due autori diversi, tra quelli che amo di più, una mailing list, un pomeriggio di qualche tempo fa: mi sono divertito a immaginare questi due racconti fusi in una sola storia...questo è quello che ne è venuto fuori.

Era per imbarcarmi che,
a questo porto ero venuto
conoscitore di caffè, soltanto,
e a tutto il resto sconosciuto.
Ma il primo giorno forse fu
la troppa nebbia a spaventarmi
o il fiato della gioventù, ancora caldo
che non smetteva di tentarmi.
Poi cominciai a contare i mesi
in faccia a molti marinai
ma l'amicizia ci curava
quanto una maledetta birra
perché loro andavano per mare
io non partivo mai.

Chissà cos'è che ogni volta mi trattiene? Eppure era stato profetico quel
giovanotto di Genova: in fondo lo sapeva che a me - suo figlio - quell'uomo
avrebbe trasmesso la sua voglia di mare. Una voglia che non porto come una
macchia sulla guancia destra ma come uno strano richiamo che mi tiene
stretto e mi porta con sé.
Avrei voluto conoscerlo! Avrei voluto conoscere bene entrambi, lui e mia mia
madre - "Esca dalle lunghe gambe" la chiamava, rubando le parole ad un
gallese dal nome di oceano...
E invece eccomi qui, con gli occhi fissi all'orizzonte e il mare che si
agita dentro e fuori di me, a dividere birra con amici che sarebbero potuti
esser compagni e a leggere in loro la vita che avrebbe potuto essere.

E fu per arrangiarmi che
divenni un giorno capitano
ma solamente di un caffè sul porto
vicino al mare ma lontano.
Ci studiavamo diffidenti
io, vecchio straniero senza nave
lui le sue onde intransigenti
di fronte a me
come in un rebus senza chiave.
Ma nelle notti di tempesta
che andavo incontro ad ubriacarlo
pieno di whiskey e giuramenti
e di richieste di pazienza
finché lui non perdono più
la mia falsa partenza.

Chissà se è vero che le città di mare sono tutte simili? Qui, nel caffè che
mi trovo a gestire, son passati tanti volti, ma il suo non lo ricordo.
Eppure ho ben chiaro il suo profilo e la sua sigaretta accompagnata al whisky
che mandava giù ad ogni occasione. Allora aveva il volto già segnato dalle
prime rughe, da due amori finiti ed uno nato da poco ma era ancora senza
barche da scrivere o treni da perdere. Fu allora che gli sentii raccontare
l'inizio della mia storia.

Ed una notte mi sembrò
che mi chiamasse col mio nome
dicendo: "ti concederò la pace
ma ad una giusta condizione"
e così mi convinse
ad andargli sempre più vicino
poi dentro fino alla metà del corpo
e poi più in là fino al mattino.
La mia condanna è di vagare
lungo le coste d'Inghilterra
senza trovare mai riposo
in un paradiso marinaio
perché ho preso il mare, si,
ma camminando sulla terra.

Non so da dove venisse quella voce che mi attirava verso di sé, chiamandomi
per nome e raccontandomi di me - quella voce che fino a quel momento avevo
sempre sentito filtrata dai racconti e dai visi altrui. Non ho capito
subito. Un passo, una domanda, uno sguardo, il rumore di una risposta e via
così fino al principio.
Ora non ne ho più paura anche se siamo tornati a parlarci a distanza, lui
con i suoi cavalli, io con le mie scogliere e in certi giorni mi sembra di
sentirlo parlare con la voce di un giovane genovese poco più che trentenne
che ho sognato di aver incontrato.

1 commento:

Marco ha detto...

Fondere le cose è sempre una sfida stimolante ed una sensazione piacevole di possesso di ciò che di bello e ricco si è incontrato e provato