19 ottobre 2006

I primi anni del secolo, macchinista ferroviere


Ieri mi è capitato di rileggere, sul blog di un amico, un vecchio post che parlava di treni e partenze e prendendo spunto dal suo incipit, che citava la bellissima Irene di Vecchioni, mi sono fermato a riflettere di come nella canzone italiana le train songs siano praticamente assenti, al contrario di quanto avviene negli Stati Uniti, dove questo genere di canzoni rappresenta tradizionalmente un filone consistente della produzione musicale del paese.
E non è un caso che, cercando di ripensare a quali potessero essere le train songs della tradizione italiana, mi siano venute in mente solo canzoni di autori che dalla musica americana sono stati chi più chi meno influenzati: tra gli altri, il Bubola di "Questo lungo treno" e, ovviamente, l'autore della canzone che dà il titolo a questo post.
Ben diverso è il caso degli Stati Uniti dove, fin dalla sua comparsa, il treno ha fatto da necessario contrappunto al mito della frontiera (tra l'altro, una delle espressioni più comuni è "lonesome whistle": il fischio del treno è un fischio solitario), fornendo gli strumenti materiali alla crescita del giovane paese e diventando, al contempo, anche un luogo d'elezione dove potessero emergere tutte le contraddizioni che questa stessa crescita andava seminando. Così i grandi merci che viaggiavano verso Ovest portavano carbone ed acciaio, ma erano al contempo il mezzo principale di locomozione per gli hobos in cerca di quel "giardino dell'Eden" rappresentato dalla California: il caldo riparo di un vagone diviene quasi una culla in cui addormentarsi col ritmico martellamento dell'acciaio sulle rotaie come ninna nanna, la ninna nanna dell'hobo, appunto.
Il treno, quindi, nell'immaginario americano diviene contemporaneamente un mezzo di sfruttamento e di risoggettivazione, l'espressione tangibile del mito della frontiera, l'immagine di tutta la forza propulsiva di un paese che vuole crescere ad ogni condizione e, per sovramercato, anche il mezzo di trasporto che accompagna amori finiti, in corso o che devono nascere. Tutto questo è splendidamente riassunto da una delle più belle train songs mai scritte, City of New Orleans di Steve Goodman.

CITY OF NEW ORLEANS (Steve Goodman)

Riding on the City of New Orleans
Illinois Central Monday morning rail
Fifteen cars and fifteen restless riders
Three conductors and twenty-five sacks of mail
All along the southbound odyssey
The train pulls out at Kankakee
Rolls along past houses, farms and fields
Passin' towns that have no names
Freight yards full of old black men
And the graveyards of the rusted automobiles

Good morning, America, how are you
Don't you know me, I'm your native son
I'm the train they call The City of New Orleans
I'll be gone five hundred miles when the day is done

Dealin' cards with the old men in the club car
Penny a point, ain't no one keepin' score
Won't you pass the paper bag that holds the bottle
Feel the wheels rumblin' 'neath the floor
And the sons of pullman porters
And the sons of engineers
Ride their father's magic carpet made of steam
Mothers with their babes asleep
Are rockin' to the gentle beat
And the rhythm of the rails is all they dream

Good morning, America, how are you
Don't you know me, I'm your native son
I'm the train they call The City of New Orleans
I'll be gone five hundred miles when the day is done

Night time on The City of New Orleans
Changing cars in Memphis, Tennessee
Half way home, and we'll be there by morning
Through the Mississippi darkness
Rolling down to the sea
And all the towns and people seem
To fade into a bad dream
And the steel rails still ain't heard the news
The conductor sings his song again
The passengers will please refrain
This train's got the disappearing railroad blues

Good night, America, how are you
Don't you know me, I'm your native son
I'm the train they call The City of New Orleans
I'll be gone five hundred miles when the day is done

Good morning, America, how are you
Don't you know me, I'm your native son
I'm the train they call The City of New Orleans
I'll be gone five hundred miles when the day is done

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Ma come? Hai dimenticato "parte il treno", dei del sangre! :-)

un abbraccio
f.

FM ha detto...

Hai ragione anche tu! vorrà dire che scriverò un pezzo sulle murder ballads solo per citare marcella, au revoir ;-)