30 dicembre 2006

La morte verrà all'improvviso


Ci sono pochi argomenti che hanno attraversato qualsiasi forma di espressione artistica fin dalle epoche preistoriche e uno di questi è sicuramente la morte: dalle rappresentazioni pittoriche all'interno delle piramidi o delle necropoli in genere alle lamentazioni funebri, tra i primi esempi di lirica corale nella grecia antica, dallo sviluppo di tutta l'arte cristiana (che tra santi, martiri e cristi, di morti ne ha viste non poche) ai kaddish, non ultimo quello pubblicato negli anni '50 da allen ginsberg.
E di morte parlano anche, come suggerisce il nome stesso, le murder ballads, ballate (e quindi liriche o canzoni) dove si narra di omicidi, spesso intrecciati a sentimenti di amore di varia natura (erotico, filiale...). Molte delle murder ballads più famose fanno parte del corpus di ballate anglo-scozzesi raccolte da Francis James Child le quali, giunte in territorio americano con i pellegrini, dopo vari mutamenti sia linguistici che narrativi, ne vennero a costituire un importante patrimonio musicale (sentito a tal punto proprio dalla tradizione folk statunitense che, per dirne una, joan baez a questo repertorio ha dedicato due dischi).
Tra l'altro, Lord Randall, una delle murder ballads più famose del corpus childiano, ha un incipit che a più di uno dovrebbe ricordare qualcosa:
Where did you go, Lord Randall my son?
Where did you go, my beloved one?
E come non citare il meraviglioso concept album di Nick Cave, "murder ballads" appunto, che pescando tra musiche tradizionali e brani scritti per l'occasione, disegna con la sua bellissima voce dieci affreschi sospesi tra l'amore e la morte (solo per segnalarne una, consiglio di ascoltare il duetto con Kylie Minogue "where the wild roses grow").
Ma di murder ballads ne sono state scritte anche in italiano, da eri piccola così di fred buscaglione a lella di edoardo de angelis, fino ad arrivare all'ultimo disco dei Del Sangre, impreziosito, tra le altre cose, dalla bellissima Marcella, au revoir

MARCELLA, AU REVOIR (Del Sangre)

Non saranno i fiori che appassiscono
a parlarmi di com'eri tu
e una foto che imprigiona un attimo
a scaldarmi il cuore un po' di più
Io non ho mai più versato lacrime per te
devo dire però che eri bella marcella, au revoir

Non saranno i tuoi profumi ancora qui
e i tuoi finti quadri di van gogh
e le tue poesie a farmi commuovere
io non ti rimpiango neanche un po'
se all'inferno o in cielo un giorno tornerò da te
devo dire però che eri bella marcella, au revoir

Non saranno i dischi che ti regalai
a suonarti marce funebri
non sarà l'incenso che ti avvolgerà
a portare via i tuoi uomini
ho il riscosso il prezzo del tuo vivere più in là
devo dire però che eri bella marcella
devo dire però che eri bella marcella
devo dire però che eri bella marcella, au revoir.

21 dicembre 2006

Metafisica del confine


Difficilmente, se si volesse stilare una sorta di abecedario americano, la lettera B potrebbe essere occupata da un termine diverso da border. Il tema del confine è infatti uno dei protagonisti più presenti sia nell'immaginario che nell'universo lessicale statunitense, fin dal tempo della nascita della nazione. Veri o figurati che fossero, l'intero sviluppo della storia americana ha visto svolgersi una continua dialettica tra open range e fence, tra spazi aperti e steccati posti a difesa di quelli che andavano divenendo, di volta in volta, confini, appunto.
Confini più o meno immateriali, come quelli che per più secoli hanno proceduto lungo la linea del colore e confini più tangibili come il lungo muro che, dal Texas alla California, dovrebbe servire a tenere lontani i messicani e gli irregolari in genere. Persino la porta verso il regno dei cieli è vista come un confine da attraversare (d'altronde dio e gli ostacoli da superare costituiscono un'interessante semplificazione del calvinismo tramandato dai pellegrini) e gli stessi termini che si usano per l'uno vengono interamente assorbiti dall'altro (e qui mi verrebbe da citare la bellissima ride'em jewboy di kinky friedman, "ride along the old corral").
Ma il border non è una categoria neutra, sul confine si vince e si perde, si ama, si nasce e si può anche morire, magari d'inverno in mezzo alle nevi della california....

CALIFORNIA SNOW (Tom Russell)

I'm just tryin' to make a livin'
I'm an old man at thirty-nine
With two kids and an ex-wife
Who moved up to Riverside
I'm workin' down on the border
Drivin' back roads every night
Mountains east of El Cajon
North of the Tecate line.

Where the California summer sun
Will burn right through your soul
But in the winter you can freeze to death
In the California snow.

I catch the ones I'm able to
And watch the others slip away
I know some by their faces
And I even know some by name
I guess they think that we're all
Movie stars and millionaires
I guess that they still believe
That dreams come true up here.

But I guess the weather's warmer
down in Mexico
And no one ever tells them
‘bout the California snow.

Last winter I found a man and wife
Just about daybreak
Layin' in a frozen ditch
South of the interstate
I wrapped ‘em both in blankets
But she'd already died
The next day we sent him back alone
Across the borderline.

I don't know where they came from
Or where they planned to go
But we carried her all night long
Through the California snow.

Sometimes when I'm alone out here
I get to thinkin' about my life
Maybe I should go to Riverside
And try to fix things with my wife
Or maybe just get in my truck
And drive as far as I can go
Away from all the ghosts that haunt
The California snow.

Where the California summer sun
Can burn right to your soul
And in the winter you can freeze to death
in the California snow.

Tracce d'un'estate ungherese


Pochi tratti
sopra un foglio
bianco

Il mio volto
è diventato
questo
per te
ragazza
senza nome
incontrata
in un giorno
di silenzio

Pochi tratti
e tu mi hai
trasformato
in carta scritta
che si può
buttare

11 dicembre 2006

Dal Valdarno al West

Una cornice familiare e splendida come sempre, due amici cantautori, vino e tequila come se piovesse....una canzone su una terra vicina, che ha il sapore delle grandi ballate tex-mex del border americano.

SANTA BARBARA (Massimiliano Larocca)

E' l'ora dell'ultimo pasto
ma in strada qualcuno è rimasto
a prendere i gatti alla fune
a tirare sassi nel fiume.

Nessuno si fa più domande
nessuno azzarda risposte
mentre i mesi trascorrono lenti
a Santa Barbara.

Mio padre lavorava in miniera
dall'alba alle nove di sera
e portava a casa soltanto
due semi di zucca e tabacco.

Novanta piedi nel sottosuolo
novanta metri sul territorio
il sole non mostra i suoi denti
a Santa Barbara.

Il sole non mostra i suoi denti
a Santa Barbara,
la vita votata al lavoro
piegati alla legge dell'oro.

C'è un uomo stretto in un doppiopetto
che dorme ancora dentro il mio letto
ha preso i frutti delle mie mani
all'ombra di due grandi vulcani.

Il sole non mostra i suoi denti
a Santa Barbara,
la vita votata al lavoro
piegati alla legge dell'oro.

L'inverno del '57
le lampade si sono già spente
la valle ora ha un volto irreale
più simile a un paesaggio lunare.

Mio padre brandiva un piccone
io siedo sopra un braccio motore
scavando alla luce del giorno
a Santa Barbara.

06 dicembre 2006

I segni sulla pelle

Ho scritto queste poche righe durante le giornate del marzo parigino, con la dedica ad una cara amica, i cui frammenti di vita ho cercato di catturare, rubando parole ad un libro allora letto da poco.

Un libro. Uscito al momento giusto, ma letto solo adesso, dopo un numero di anni troppo breve per segnare una distanza, comunque serrata dalla continuità che caratterizza le nostre lotte. Un libro che sarebbe stato il regalo ideale per accompagnare una nuova partenza.

"Mi ero immaginata cento motivazioni, ma non che avessi paura di una storia d'amore. Non mi sembra molto rivoluzionario come comportamento, ma ognuno vive le proprie contraddizioni e quindi...."

Chissà se la ragazza pensava queste stesse parole vedendosi seduta accanto a quel filosofo forse ancora troppo ragazzo a dispetto degli anni che la sua faccia pubblica gli impongono di avere.... Chissà cosa si sarebbe vista rispondere ad una considerazione del genere?
Corre lento il pullman lungo le strade di una penisola che, ad attraversarla tutta ti sembra sempre non debba finire mai, tra i messaggi e le telefonate dei compagni ed il desiderio misto ad invidia di quelli che non hanno potuto esserci.
In ogni caso, senza sogni non si va da nessuna parte e si finisce per restarsene in casa con i propri mugugni. Loro a casa non ci sono rimasti, ed è per questo che possono desiderare anche l'impossibile.

Sì, quell'impossibile che, da bambini, avevano appreso dal giovane comandante argentino essere un portato dei sogni dei realisti, l'unica risposta possibile alle domande che la vita gli avrebbe posto giorno dopo giorno. Una continua appropriazione e riappropriazione, dei propri bisogni, di uno spazio che fosse espressione di desideri, di una piazza e di strade sottratte alla necessità ed ai ritmi del capitale per essere un luogo del tempo presente, il luogo del plurale collettivo. E allora anche il viaggio porta con sé una lentezza scandita dalle soste di un noi sempre più grande, talmente grande da potercisi accomodare anche in due.
Il problema è come ricominciare, con quali gesti, con quali parole. Fino ad un attimo prima erano due ex incontratisi per caso in mezzo a decine di migliaia di persone; adesso sono di nuovo due parti di un tutt'uno che guarda il mondo dalla stessa finestra e decide se spalancarla o chiuderla per sempre.

Gli occhi della ragazza hanno visto una città familiare infiammarsi e piangere, colorarsi e resistere; la voce del filosofo ha narrato ed analizzato, si è fatta memoria per chi stavolta non c'era e monito per chi non ci sarà mai.
è lunga la notte che li riporta a casa, ma si sa:
le strade, di notte, hanno bisogno di stelle.